Fairy painting: il fascino dei pittori vittoriani di fate
Il fairy painting può essere definito, letteralmente, la “pittura di fate” o “pittura fatata”.
Si tratta di un genere di pittura e illustrazione in cui buona parte dei soggetti protagonisti scelti dagli artisti per le loro opere sono le fate e le creature sovrannaturali del mondo feerico, come goblin, elfi, folletti, che in genere sono ritratti in contesti naturalistici e ricchi di dettagli realistici, come piante, rocce, corsi d’acqua.
Questa corrente artistica è particolarmente legata al periodo vittoriano e al Regno Unito, in quanto i suoi rappresentanti più significativi furono attivi durante il regno della Regina Vittoria (che fu sovrana dal 1837 al 1901), ma in una definizione più ampia sono arrivate a rientrare nel fairy painting anche opere dei giorni nostri.
Il contesto del fairy painting vittoriano
Nell’Ottocento, a partire dalla fine dell’epoca georgiana (il re Giorgio III morì nel 1820), nel Regno Unito iniziò a rafforzarsi e a svilupparsi in modo più spiccato che in passato una corrente artistica ben presto denominata “fairy painting“.
Si trattava di realizzazioni di pittori che, pur avendo alle proprie spalle storie personali e artistiche differenti, ispirandosi in particolare alle opere di Shakespeare e alle rappresentazioni teatrali da esse tratte, scelsero come soggetto dei propri dipinti il mondo delle fate e del piccolo popolo.
Lo sviluppo di questo movimento fu trasversale e di non facile inquadramento. Alcuni autori trattarono in una sola occasione questo tema, altri vi dedicarono più opere.
In qualche caso lo sviluppo di nuove opere letterarie feeriche e la traduzione di opere a tema da altre lingue (come con le fiabe dei Grimm), nonché la nuova sensibilità verso il folklore delle varie terre del Regno Unito, come per esempio verso il lavoro di Thomas Crofton Croker, fecero nascere la necessità di illustrazioni e copertine con le stesse suggestioni.
Inoltre questo tipo di ispirazione toccò tutto il periodo vittoriano e post vittoriano, sovrapponendosi alle creazioni di determinati movimenti, come quello dei Preraffaelliti.
I vittoriani e la loro attrazione per le fate
I vittoriani erano affascinati dal soprannaturale: dai fantasmi (celebri anche le sedute spiritiche dell’epoca), dai vampiri, dagli spiriti dei morti, dagli angeli e dalle divinità di altre religioni. Tuttavia le fate erano diverse dal resto del soprannaturale, in particolare non avevano con le persone il legame che esse avevano con i morti, quindi non avevano lo specifico potere che da ciò derivava.
Le fate rappresentavano il mondo antico e naturale a cui i vittoriani avevano rinunciato per la modernità, al quale gli uomini guardavano con sentimentalismo e in parte nostalgia.
A questo proposito è importante ricordare che Londra e le città erano luoghi sporchi, pieni di fumi industriali e cattivi odori, affollati. Anche la nebbia, fenomeno del tutto naturale, era chiamata “zuppa di piselli” per la sua consistenza disgustosa, dovuta più che altro alle emissioni grigie e puzzolenti delle industrie.
In tutto questo le fate riconquistarono l’incontro con la natura, con i suoi misteri, quella relazione con il passato che andava perdendosi. Allo stesso tempo la loro possibile esistenza andava a braccetto con le osservazioni sulla natura che stavano emergendo dalla scienza, travolta dalla nuova Teoria dell’Evoluzione: le fate, in alcuni casi, potevano rappresentare consolanti punti di congiunzione fra le specie.
Un aspetto molto importante è la quantità di campi della conoscenza i cui le fate emersero con la loro presenza: non solo arte e illustrazione, o scrittura e poesia, ma anche teatro, musica, scienza, persino fotografia (celebre il caso delle Fate di Cottingley, nel 1917).
Parallelamente va ricordato che proprio in epoca vittoriana nacque la figura del folklorista, colui che raccoglieva le vecchie storie di fate, folletti, brownie, goblin, affinché non andassero definitivamente perdute. La stessa parola “folklore” fu coniata nel 1846, quando fu usata da William J. Thoms in una lettera pubblicata sulle pagine di Athenaeum. E in quegli anni ci fu il grande risveglio di interesse verso le opere di Shakespeare, che puntavano proprio al mondo delle fate poi tanto rappresentato e amato nel periodo vittoriano.
L’incontro tra le creature del folklore popolare e l’immaginario shakesperiano trovò la sua espressione con il Romanticismo, movimento grazie al quale le fate emersero nelle caratteristiche con cui sono rappresentate nel periodo vittoriano.
I primi fairy painters e la possibile nascita della corrente artistica: Fuseli, Blake, Parris, Danby e Maclise
Alla fine del XVIII secolo una certa inquietudine segnò la nascita del Romanticismo, una corrente artistica e letteraria che, con caratteristiche diverse nelle varie nazioni europee, si contrapponeva all’esaltazione della razionalità rappresentata dall’Illuminismo.
In quello stesso periodo il pittore Johann Heinrich Füssli, noto come Henry Fuseli (1741-1825), intuì che la scelta del mondo feerico e dei temi shakesperiani come soggetto dei suoi quadri poteva essere di grande contributo alla sua visione di una pittura poetica e a sfondo storico e che la pittura di fate poteva non solo intrattenere il pubblico ma anche educarlo. Il fairy painting con Fuseli acquisì già alcune delle sue caratteristiche fondamentali: la citazione di opere letterarie e artistiche, l’uso di temi legati al folklore e la creazione di una scena chiara e centrale assieme a situazioni secondarie capaci di coesistere con essa e completarla.
Sulla medesima linea, il poeta e pittore, William Blake (1757-1827) fu creatore di una sua personale mitologia e si occupò in varie opere anche del soggetto feerico. Tenendosi distante dalla tematica storica, si ispirò alle opere di Milton e riuscì a elaborare il linguaggio del corpo delle fate a cui fecero riferimento anche i suoi successori. Blake raccontò che lui stesso aveva visto delle fate nel suo giardino: “nell’aria c’era qualcosa di più dolce del solito e quando un fiore si mosse una processione di creature dell’altezza di un filo d’erba sfilarono portando una foglia di rosa, sulla quale giaceva un corpo. Era quello di una loro simile e lo celebrarono con delle canzoni, poi disparvero. Era il funerale di una fata”.
Se il passaggio tra il XVIII e il XIX secolo aveva segnato il fiorire di questo nuovo genere, l’interesse scemò poi per qualche decennio.
In seguito fu soprattutto con il lavoro di Edmund Thomas Parris (1793-1873) e dei due irlandesi Frances Danby (1793-1861) e Daniel Maclise (1806-1870) che il fairy painting ebbe un nuovo risveglio attorno al 1830.
Parris, autore di uno dei primi ritratti della Regina Vittoria dopo la sua incoronazione, fu il primo artista a ritrarre fate che danzavano in punta di piedi come le ballerine che avevano iniziato a farlo in quegli anni, a partire da Marie Taglioni nella coreografia di “La Sylphide”.
Danby e Maclise erano concentrati soprattutto, rispettivamente, sui paesaggi poetici e sulla rappresentazione di storie tratte dal folklore popolare.
Grazie a loro e ad altri pittori, il fairy painting iniziò a conquistare un’attenzione sempre più forte.
Lo sviluppo del fairy painting in piena epoca vittoriana: Huskisson, Dadd e Fitzgerald
Robert Huskisson (1819-1861) e Richard Dadd (1817-1886) furono i due artisti che per primi negli anni Quaranta dell’Ottocento rappresentarono in modo più spiccato il fairy painting.
Con una tecnica impeccabile, Robert Huskisson si dedicò a soggetti shakesperiani con grande teatralità. Egli sviluppò uno stile minuziosamente dettagliato e utilizzò colori altamente distintivi, con sfondi scuri e profondi e figure dai toni perlati. Nude ed eteree, le sue fate rappresentavano alla perfezione l’erotismo tanto esorcizzato dalla cultura vittoriana.
Negli stessi anni lavorava anche Richard Dadd, noto oggi al di fuori degli ambienti artistici soprattutto per la sua malattia mentale e per un terribile fatto di cronaca che ne conseguì: l’omicidio del padre Robert.
Dadd, tra il 1841 e il 1843, realizzò i dipinti a tema fatato che gli valsero grande popolarità, ripercorrendo egli stesso le composizioni shakesperiane. Di fatto l’artista proseguì a dipingere anche quando era ricoverato nel manicomio di Bethlem e in seguito in quello di Broadmoor dove venne trasferito, fino alla morte, ma solo anni dopo quelle ulteriori opere sarebbero state del tutto riscoperte.
Ad Huskisson e Dadd, per importanza, è sicuramente da affiancare il nome di John Anster Fitzgerald (1832-1906): “Fairy Fitzgerald”, come venne soprannominato, fu uno degli artisti che più si dedicarono al tema delle fate e del piccolo popolo nei suoi quadri, riuscendo a imprimere a molti dei suoi quadri un’atmosfera onirica, che richiamava anche il mondo degli incubi e delle creature più oscure.
I Preraffaelliti e John William Waterhouse
Numerosi altri artisti si dedicarono nel tempo al fairy painting e una parte di essi furono gli appartenenti al movimento dei Preraffaelliti.
Questa associazione artistica nacque ufficialmente nel 1848 per iniziativa di John Everett Millais, Dante Gabriel Rossetti e William Hunt, ai quali successivamente si unirono altri pittori. In antitesi alle tendenze dell’epoca vittoriana, i Preraffaelliti attraverso l’arte desideravano restituire il senso di un mondo antico e per certi versi “romantico”.
Il nome dei Preraffaelliti faceva riferimento diretto allo stile di pittura, che voleva riscoprire la natura e la vita secondo la rappresentazione che veniva fatta “prima di Raffaello”, ovvero prima che questo artista contaminasse i concetti di natura e arte facendovi prevalere l’accademismo.
Fra i Preraffaelliti viene tradizionalmente inclusa anche la figura di John William Waterhouse (1849-1917), che fu attivo quando il circolo era già stato chiuso. Figlio del pittore William Waterhouse (1816–1890) e della pittrice Isabella Mackenzie (1821-1857), Waterhouse nacque in Italia dove i genitori inglesi si erano trasferiti dopo il matrimonio.
Allegorie e soggetti mitologici e shakesperiani valsero a John William Waterhouse uno stretto legame con il fairy painting.
Dalla pittura all’illustrazione, fino ai giorni nostri: i Doyle e Rackham
Nella seconda metà dell’Ottocento la stampa di libri, e in particolare per bambini, ebbe forte impulso e per questo il tema del fairy painting si spostò gradualmente dalla pittura all’illustrazione e, infine, alla letteratura per l’infanzia.
Una citazione come pittori e illustratori è meritata sicuramente dai fratelli Doyle, Richard “Dickie” Doyle (1824-1883) e Charles Altamont Doyle (1832-1893).
Con il suo stile vignettistico e idilliaco, e in alcuni casi umoristico, Richard Doyle riuscì a mescolare soggetti feerici con minuzie naturalistiche.
Meno particolareggiati dal punto di vista vegetale e molto più inquietanti sono invece i lavori di Charles Altamont Doyle, che fu preda dell’alcolismo e della depressione e finì per mostrare una spiccata instabilità mentale che gli fece trascorrere molto tempo in manicomio.
Il cognome Doyle raggiunse poi una nuova fama con il lavoro del figlio di Charles, Arthur Conan Doyle, creatore del personaggio di Sherlock Holmes.
L’altra grande figura che ebbe grande influenza sull’arte e illustrazione e che ha contribuito a far riecheggiare fino ai giorni nostri il tema del fairy painting è Arthur Rackham (1867-1939), divenuto famoso per le illustrazioni del 1904 di “Peter Pan” di J.M. Barrie. Con uno stile preciso ma evanescente, a tratti grottesco, Rackham è stato di ispirazione anche per le prime opere Disney.
La pittura di fate non è morta con il termine dell’epoca vittoriana (1901, anno di morte della Regina Vittoria) ma ha continuato a sopravvivere fino a oggi.
Anche se il tema è tradizionalmente associato a quel periodo, ancora oggi intorno al mondo artisti continuano a produrre opere che rievocano quelle atmosfere e nessuno ha mai fissato una fine convenzionale per il Victorian Fairy Painting.
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Che cosa ispirò questi pittori e illustratori e che cosa rafforzò sempre più nel tempo lo sviluppo di questi soggetti in pittura e illustrazione, facendoli entrare in modo stabile nell’immaginario collettivo?
Anche se non esiste una spiegazione univoca e razionale alla questione di come fate e piccolo popolo abbiano trovato tanto spazio e continuino a occuparlo, una risposta “fantasy” a questa domanda è contenuta nel romanzo “Il Pittore delle Fate” di Simona Cremonini, ed. PresentARTsì, 2022, e nel romanzo “La Pittrice delle Fate” di Simona Cremonini, PresentARTsì, 2024.
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Molti dipinti degli artisti citati in questo dossier possono essere visionati e approfonditi seguendo la rubrica di @simonacremonini su Instagram pubblicata ogni settimana, dal titolo #scoprendoilfairypainting.