Sono gli ultimi anni. Manca pochissimo.
Entro poco tempo, forse un decennio appena, tutti coloro che sono in grado di raccontare in forma orale riti magici e credenze contadine dei tempi passati (di cui non esiste testimonianza scritta) se ne andranno da questa terra, sottraendoci in modo definitivo tante informazioni e tanti racconti.
Forse resteranno diari, registrazioni, oggetti: ma non ci saranno più le voci originali, le rielaborazioni della stessa storia da parte di chi l’ha vissuta.
Chi sa, racconti. Chi sa che qualcun altro sa, si faccia raccontare. E raccolga tutto ciò che può. Presto.
Chiacchierare con Vittorio Pirri del Museo delle Streghe di Pejo è stato come ritrovare un vecchio amico, qualcuno che con te ha vissuto avventure straordinarie che gli altri non potrebbero mai capire davvero.
E visitare il Museo delle Streghe di Pejo è stata un’esperienza totalizzante.
Per chi come me si occupa da anni della materia dei riti e delle credenze contadine, e di quelle legate in particolar modo all’ambito magico e stregonesco, resta ancora tanto da scoprire. Spesso la religiosità diffusa di un tempo è difficile da decifrare, perché tante volte si mescolava al “sacro cattolico” o veniva celata agli occhi estranei, ed era fatta di semplicissimi gesti quotidiani e oggetti di tutti i giorni. Come lasciare una scopa di saggina sull’uscio, per far sì che le streghe non potessero entrare, impegnate a contare i singoli legnetti. Oppure far raccogliere i capelli in una treccia a quella “strega” che doveva venire in visita, perché non potesse stregare la casa e i suoi abitanti.
Per queste ragioni, è ancora più straordinario che qualcuno si sia preoccupato di raccogliere e catalogare oggetti e ornamenti che, tra l’altro, a molti suscitano ancora superstizioni e disgusto.
Il Museo delle Streghe di Pejo è un museo etnografico e raccoglie circa 400 reperti di provenienza trentina e veneta, italiana o internazionale.
Racconta un viaggio nella magia con una visione non solo localistica, perché Pejo (che è anche una zona di incisioni rupestri) e il Trentino sono solo il punto di partenza per spiegare una materia tanto affascinante quanto ancora sconosciuta. La stregoneria trascende i confini nazionali e continentali: è una conoscenza che ogni popolo ha custodito nel tempo e che era capace di incrociare la dimensione religiosa con il quotidiano, in Italia come in Africa. Le tracce che troviamo oggi (sempre meno) nel nostro mondo contadino vengono da lontano, perché non sono che l’emanazione locale di conoscenze antiche: anche Charles Godfrey Leland, autore di “Aradia, o il Vangelo delle Streghe”, sosteneva che la stregoneria non fosse che un’antica tradizione religiosa sopravvissuta all’ombra del Cristianesimo da tempo immemore.
Nel museo si trovano rappresentazioni, libri, amuleti, oggetti del quotidiano; le etichette e i pannelli illustrativi permettono di orientarsi e avere informazioni specifiche su ogni reperto.
Le teche sono organizzate per argomento più che per zona geografica e ospitano molte curiosità che aiutano a rendersi conto del carattere internazionale del tema della stregoneria. È un percorso affascinante, lungo il quale ci si può muovere sia se si conosce già la materia sia se si è solo incuriositi.
Personalmente, da tempo volevo andare a visitare il museo, per via dell’argomento di cui si occupa ma non solo. Chi mi segue da un po’ (e magari ha letto il secondo romanzo della Saga delle Streghe Quinti, “Le streghe del Monte Corno”), sa che fra le figure che incrociano la storia della famiglia Quinti c’è anche un inquisitore di origini gardesane, Domenico Pirri da Gargnano, di cui ho già parlato anche sul blog in questo articolo. Mi affascinava molto il fatto che l’ideatore e curatore del museo Vittorio Pirri avesse fra tanti proprio quel cognome, anche se si tratta solo di una coincidenza. Nessuna parentela! Ma la suggestione un po’ resta.
Il Museo delle Streghe di Pejo mi ha lasciato una profonda consapevolezza: quando per la prima volta ho scritto di certe processioni sul Monte Corno, che poi hanno ispirato il romanzo citato poco sopra, sono stata la prima a documentarle dopo un sacco di tempo e a farlo dando loro un valore storico ed etnografico nel mio saggio “Misteri Morenici”.
Anche se nei prossimi anni proseguirò la mia esperienza come narratrice e per ora non prevedo di pubblicare a breve nuovi saggi sulle leggende del lago di Garda, un piccolo pezzo di lavoro importante l’ho fatto. E spero che mi sarà possibile raccogliere eventuali ultimi scampoli di quelle credenze e quei riti che sul territorio gardesano, ne sono convinta, da qualche parte possono ancora essere testimoniati oralmente. Spero dunque che questo mio articolo porterà qualcuno a contattarmi o a raccontarmi ciò che resta.
Sono gli ultimi anni, come ho scritto all’inizio.
Dobbiamo sbrigarci, prima di perdere ciò che resta.
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Alcune informazioni pratiche sul Museo delle Streghe di Pejo: si tratta del museo più piccolo del Trentino (circa 35 mq in un’unica sala) e del settimo museo in Europa a trattare la tematica della magia e della stregoneria.
Non è facile trovarlo, perché al momento non è ancora riconosciuto tra i musei regionali ed è poco segnalato: si trova a Pejo in Via XXIV Maggio, in un cortile interno. Seguendo le indicazioni di Google Maps si arriva più o meno alla sua altezza, ma poi occorre infilarsi sul retro degli edifici.
Se volete visitarlo, contattate il museo per informazioni sugli orari; l’apertura è in genere nel periodo estivo la mattina dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19. Il giovedì si tiene, solo su prenotazione, l’escursione a tema “Sui sentieri delle Streghe. Passeggiata storico-etnografica sui siti della magia e della stregoneria popolare”.
I contatti sono disponibili sulla pagina Facebook Museo delle Streghe di Pejo.
Ringrazio Vittorio Pirri per il nostro magico incontro: il suo libro è stato apprezzato anche da Catullo/Nerino.
Simona Cremonini