Dal 20 dicembre 1332 al 20 marzo 1333 tra Riva del Garda e Trento si tenne un processo contro alcune donne sospettate di essere simpatizzanti degli Apostolici, il movimento eretico che aveva come riferimento Fra Dolcino.
Il predicatore, morto alcuni decenni prima a Vercelli (il 1 giugno 1307), aveva svolto la sua predicazione per un certo periodo (attorno al 1303) proprio nell’alto Garda, dove pare avesse anche conosciuto la bellissima Margherita, la compagna che gli era rimasta accanto per tanto tempo: l’aveva incontrata in quello che era stato il centro delle sue attività, il monastero di Santa Caterina, tra Riva e Arco, che a quel tempo era intitolato a San Adelpreto, vescovo-guerriero di Trento.
Citato anche da Dante nell’Inferno (Or dì a fra Dolcin dunque che s’armi, / tu che forse vedrai il sole in breve, / s’ello non vuol qui tosto seguitarmi, / sì di vivanda, che stretta di neve / non rechi la vittoria al Noarese, / ch’altrimenti achistar non sarìa lieve), Fra Dolcino aveva lasciato una forte eredità nel basso Trentino, tanto che in quegli anni a Riva l’inquisitore Aiulfo da Vicenza aveva già fatto condannare e bruciare come dolciniani due donne e un uomo.
L’attività dei dolciniani, dunque, era nota da queste parti e soprattutto incontrava il favore della borghesia, spinta a reagire al controllo opprimente del Vescovo di Trento sulla zona.
Molte erano le donne che avevano trovato posto nella setta dolciniana e fra esse vi erano le quattro coinvolte nel processo, il quarto svolto in quegli anni contro dolcianiani e dolciniane. Si trattava di Monda (vedova del farmacista Rivano), sua sorella Rivana (moglie del notaio Libanorio), Floriana (moglie del medico Gregorio) e Brida (serva di Monda).
Monda, vera protagonista della vicenda, era la proprietaria di una locanda a Riva: l’attività che gestiva era luogo di transito per numerosi mercanti e trafficanti che si muovevano e muovevano i loro traffici da piccole e grandi città italiane di allora, come Mantova, Verona, Treviso, Brescia, Como e Bergamo, e facilmente il posto attraeva il passaggio di forestieri che dovevano alloggiare per brevi periodi. Inoltre Monda non solo era la moglie del farmacista, o colei che gestiva l’ostello, e quindi un personaggio noto in città, ma possedeva anche alcune delle capacità e delle “malie” tradizionalmente associate alle streghe: era guaritrice di malattie, praticava la medicina e la magia, e fu proprio quest’ultima sua capacità a farle ricevere pesanti accuse da parte della cognata Antonia, secondo la quale Monda era solita “concordare cum dyabolo et osculari eum”. Sarebbe stata proprio Antonia a giocare un ruolo chiave nel processo, il 14 gennaio 1333, testimoniando contro Monda.
A differenza però di molte altre donne processate come eretiche o come streghe in quegli anni e nei secoli a venire, Monda grazie alle sue attività lavorative aveva forse imparato le malizie del mondo: e così, la sua abilità dopo aver tentato inutilmente di convincere Antonia a ritrattare, fu perciò di riuscire a trasformare il punto di vista su ciò che aveva fatto, facendo apparire le sue attività sospette per atti svolti per pietà e buon cuore e facendo passare le accuse della cognata per semplici calunnie nate da questioni legate a vecchie eredità. Così Monda lo ammise. Aveva sì ospitato numerosi mercanti, ma non sapeva certo che si trattasse di eretici. E poi, se ciò non fosse bastato, aggiunse di aver anche ospitato l’arciprete della Pieve di Bono e altri preti… Le si poteva dare torto?
Il processo perciò finì per dimostrarsi una grossa bolla di sapone. Tuttavia la stessa Monda non convinse della propria innocenza la gente comune, che non la considerava estranea alla diffusione delle eresie, dato che “la donna, nei suoi pellegrinaggi a Trento e a Verona, era solita abbandonare il suo gruppo e sparire per 2 o 3 giorni, per poi tornare come se niente fosse”. Vedova, sola e indipendente, pratica di medicina, Monda viaggiava molto per mandare avanti la farmacia del marito e le sue attività, e se questo non bastasse aveva l’occasione di fare la conoscenza con numerose persone: ovvero forse godeva di una libertà troppo grande per quell’epoca per non dare fastidio ai suoi compaesani.
Monda, come le tre donne accusate insieme a lei, ricevettero perciò lievi pene, di carattere “sociale”, come il dover portare determinati segni distintivi e il doversi pentire in pubblico, che dimostrarono la sostanziale delegittimazione delle accuse di eresia nei loro confronti.
Verità o leggenda? La storia di Monda e di questo processo è veramente raccontata dagli atti dello stesso.
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