Vi sono luoghi, attorno al lago di Garda, dove i fantasmi delle epoche passate ancora oggi sembrano pronti, in ogni momento, a chiacchierare con l’uomo odierno.
Rocche misteriose si ergono qua e là, specchiandosi nel lago, e le loro storie sono narrate in “Leggende, curiosità e misteri del lago di Garda”; sulle colline e lungo il Mincio, invece, tuttora risuonano colpi di cannone e presenze senza pace legate alle battaglie, come raccontano “Misteri Morenici” e “Mincio Magico”. Un periodo dell’anno in cui questi segnali acquistano un significato ancor più inquietante e profondo è proprio quello che stiamo vivendo.
Febbraio era un tempo il “mese dei morti“. Lo era per gli antichi Romani, che lo legavano al culto e al rispetto dei trapassati, i “Mani”, protettori dei morti ma morti loro stessi; i Romani li consideravano i loro antenati immortali buoni, ovvero parenti e antenati che continuavano a proteggerli anche dopo essere diventati spiriti e che proteggevano chi moriva; spesso essi non erano solo “ombre” indefinite, ma veri e propri spiriti individuali ben identificati. Sulle epigrafi li richiamavano con gli acronimi DM (Dèi Mani) o DMS (Dis Manibus Sacrum) o anche con diciture più complete. Lo scopo di evocarli sulla pietra era dare protezione alle aree sepolcrali e a chi era appena trapassato.
In febbraio, mese di espiazioni e sacrifici, agli spiriti dei morti erano dedicati offerte e riti: 9 giorni del Calendario romano, dal 13 al 21 febbraio, costituivano i “Parentalia”, cerimonie di nove giorni che iniziavano con le Idi di Februarius (il 13) e terminavano con Feralia (il 21). Era in questi giorni che venivano omaggiati i Mani.
I Parentalia si svolgevano nel privato ed erano considerati così importanti che, in pratica, in questo lasso di tempo la vita pubblica veniva pressoché interrotta: in questi nove giorni i templi venivano chiusi, i matrimoni erano vietati, non venivano accesi fuochi d’offerta, non venivano celebrati processi e i magistrati non indossavano le loro toghe d’ufficio. Inoltre sempre nello stesso lasso di tempo i Romani erano concentrati sui loro riti domestici per i Manes, adornando di fiori le statuette che rappresentavano gli spiriti e che venivano appunto conservate in casa.
Anche sul territorio gardesano i Manes avevano un ampio seguito: numerosi sono i segni tangibili che essi, dall’epoca romana, hanno lasciato nella cultura e nelle credenze del passato, lasciandosi venerare fino ai giorni nostri: oggi forse non più per un senso religioso ma per il loro significato storico. L’esempio è dato dalle lapidi, dalle epigrafi, che noi ancora oggi custodiamo nei nostri musei e nella nostra cultura.
Riguardo agli “Dèi Mani”, nelle “Memorie Bresciane”, lo storico Rossi scrive che essi trassero la loro origine dagli Etiopi, che ritenevano che l’uomo fosse fatto di corpo, di anima e di ombra; morendo dicevano che l’uomo lasciava il corpo alla terra, l’anima a dio e l’ombra all’Inferno; quindi raccomandavano le ombre dei loro morti ai Mani con l’idea che essi fossero le Ombre Beate, e più potenti.
Secondo Rossi, la Speranza e il Timore producono gli Dèi; e insieme agli effetti meravigliosi si generavano anche bugie superstiziosissime.
In Rossi, come in Gnocchi, troviamo anche una mappatura delle epigrafi che sul territorio gardesano e bresciano celebravano i Mani, epigrafi che spesso avevano una funzione privata ma che a noi sono servite per conoscere la cultura di quel tempo: a Toscolano, a Peschiera del Garda, a Brescia, a Calvisano, a Leno, a Manerbio, a Ghedi, a Medole, tanto per citare alcune località del lago e dei dintorni, e addirittura “in Lugana sul tener di Rivoltella” viene ritrovato un sepolcro con una dedica ai “Diis Manibus”, e a Rivoltella una lapide che riporta la dedica ai “Dis Manibus”.
Tra Verona e il lago due località hanno mantenuto nel loro nome un riferimento che fa pensare ai Mani: San Vito al Mantico, frazione di Bussolengo, e Boscomantico, dove pare sorgesse anche un ipogeo, una polla d’acqua sacra agli Etruschi.
Anche Malcesine potrebbe avere, con il suo nome, un riferimento all’antico culti dei Mani, mentre a Peschiera del Garda è testimoniata una lapide con dedica “D. M.”.
Di una “Selva del Mantico” si parla nella “Istoria della città di Verona” del conte Alessandro Carli, libro del 1796, e doveva trovarsi estesa appunto dove oggi sorgono queste due località, San Vito al Mantico e Boscomantico.
Inoltre il nome completo di “Chievo”, uno dei quartieri di Verona, è in realtà “Chievo al Mantico”: tale nome deriva dal latino “clivius mantici”, ossia “la collina del (bosco) mistico“.
Tra l’altro, mantica è ancora oggi il nome che viene dato all’arte della divinazione.
Perché esistevano i Mani? I Romani se lo spiegavano immaginando ciò che vi era “oltre” come un luogo cupo, triste, in cui gli spiriti vagavano senza pace. Per questo temevano che potessero cercare di tornare sulla terra e cercavano di propiziarseli con un sacrificio che veniva fatto 9 giorni dopo la sepoltura. A questo si aggiungevano appunto le feste di febbraio per i Mani, celebrate perché i morti non dovevano essere dimenticati o trascurati, o sarebbero potuti tornare. Si voleva che lasciassero in pace i vivi.
Oggi, in epoca cattolica, il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti, tra gli spiriti e il nostro mondo, è dato dalla campana dell’Ave Maria, quella suonata alla sera quando cala il sole, ben prima della mezzanotte: è il momento in cui gli spiriti tornano per vendicarsi.
È in questa fascia oraria che, come accennato all’inizio, chi ha combattuto le battaglie sanguinarie legate all’Indipendenza italiana (San Martino della Battaglia, Cavalcaselle, Solferino, Curtatone per citarne alcune), secondo alcune leggende locali torna formando lugubri processioni di soldati rimasti senza pace.
Fantasmi di ciò che siamo stati e che non hanno mai abbandonato completamente questi luoghi, danzando con noi mascherandosi tra le sfilate del Carnevale, come racconta un’antica tradizione che lega i morti a coloro che percorrono le strade a festa in questi giorni.
Per approfondire questo ultimo tema, consiglio questo articolo di Giancorrado Barozzi che ho scaricato online.
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Verità o leggenda? Chi ha attraversato le colline moreniche nella nebbia, ha esplorato i castelli delle riviere del lago di Garda tra le luci autunnali o ha passeggiato sulle spiagge del lago d’inverno, sa che è alquanto difficile stabilire, quando si parla di fantasmi e spettri da queste parti, cosa sia verità e cosa sia leggenda.
Il testo di questo articolo è un estratto della conferenza sui Mani tenuta a Selva Capuzza di San Martino della Battaglia qualche anno fa, che può essere riproposta altrove contattandomi.
Sulle storie e leggende di fantasmi attorno al lago di Garda consiglio la lettura dei miei libri citati a inizio articolo (dettagli nelle pagine elencate qui sotto, cliccando sui titoli):
– Leggende, curiosità e misteri del lago di Garda