A chi abbia raggiunto Mantova nei giorni del suo appuntamento più famoso, il Festivaletteratura, essa sarà sembrata una città spumeggiante di scambi culturali e letture, piena di vita e curiosità. In realtà, durante il resto dell’anno, per la maggior parte del tempo la piccola città lombarda giace placida e addormentata con il capo appoggiato sui tre laghi, Superiore, Di Mezzo e Inferiore, che il Mincio forma lungo il suo percorso dal Garda al Po.
Eppure, qualche vento a Mantova soffia comunque. Per lo meno, esiste una leggenda che parla non tanto del vento (che la sera, poveretto, rincasa stanco dopo aver scorrazzato tutto il giorno e quindi va a dormire presto), quanto della venta, sua moglie, cui non par vero, dopo che il consorte si è abbandonato al sonno, di poter scappare fuori e andare a fare quattro salti, per sollevare un po’ di polvere, far sbattere qualche imposta e fare arrabbiare un po’ qualche povero diavolo. In ogni caso, dopo questa scappatella innocente, la venta rientra a casa soddisfatta, tornando placida nel letto coniugale.
Qualcuno, in passato, ha però ipotizzato che non tutti i coniugi siano stati ugualmente irreprensibili, qui in città.
Francesco I Gonzaga, signore di Mantova qualche secolo or sono, accusò la moglie Agnese Visconti di aver connesso adulterio con Antonio da Scandiano. Che il tradimento fosse stato consumato non fu possibile provarlo inconfutabilmente, ma è certo che questo Gonzaga temeva la signoria milanese e che la ventitreenne Agnese non era stata in grado di dare al signore-marito nessun figlio maschio; di preciso non si può dire cosa ci fosse dietro e perché il brutale processo ebbe luogo, ma di motivi per trovare un pretesto per liberarsi della scomoda presenza di Agnese ce n’erano sicuramente molti. La notte tra il 6 e il 7 febbraio 1391 la nobildonna fu decapitata in una pubblica piazza, mentre il presunto amante mori accanto a lei per impiccagione.
Non si sa se in cerca di vendetta o per rivedere i luoghi del loro amore adulterino, ma pare che il fantasma di Agnese si faccia ancora vedere nel centro storico.
Certo, questo non è il modo più onorevole per presentare una signoria. Pur non essendo certo dei santarellini, c’è da dire che i Gonzaga rappresentarono la fase di maggior splendore della storia di Mantova, dando un’opportunità unica a questa piccola città di pianura di balzare alle cronache storiche nazionali.
Nel 1328, la notte di Ferragosto, quando con un sanguinoso colpo di mano strapparono la città alla famiglia dei Bonacolsi, sembrava che l’avvento dei Gonzaga non fosse che uno dei numerosi tentativi di salire al potere fatti da tante famiglie, in quegli anni. Eppure i Corradi (chiamati Gonzaga perché provenienti dalla cittadina omonima situata nella bassa provincia) furono in seguito una delle dinastie più longeve, ricche e prestigiose della storia europea, mantenendo il controllo su Mantova fino al 1707. In quei secoli nella città si scrissero alcune pagine fondamentali dell’arte italiana. Furono costruiti il Castello di San Giorgio, le mura gonzaghesche con cinque porte di accesso, il Palazzo Te; fu ampliato e rimodellato il Palazzo Ducale. La città ospitò pittori, scultori, urbanisti e artisti di ogni calibro: Donatello, Leon Battista Alberti, Luca Fancelli, Andrea Mantegna, Giulio Pippi detto il Romano (cui si deve il Palazzo Te, progettato, costruito e affrescato nell’arco di dieci anni), Rubens, Monteverdi, ma anche Ludovico Ariosto, Pietro Bembo, Leonardo e Raffaello.
Ma era impossibile che Mantova potesse costituire un’isola felice nelle lotte medievali e rinascimentali tra signori e, soprattutto, tra papato e impero. Il declino cominciò quando nel 1530, grazie allo strategico appoggio all’imperatore Carlo V, a Mantova venne annesso il territorio del Monferrato, conteso tra Savoia, spagnoli e francesi.
I Gonzaga sfavillarono di splendore ancora per un secolo, ma le ultime imprese artistico-architettoniche fiaccarono le casse della signoria al punto che, nel 1627, Vincenzo II cominciò a vendere i tesori di palazzo. Alla fine del 1629 arrivarono le truppe imperiali dei lanzichenecchi, che assediarono la città per otto mesi. Infine Mantova cedette, stremata dalla fame e dalla peste, e fu saccheggiata dai soldati. I Gonzaga caddero definitivamente nel 1707, dopodiché la città-reggia divenne una città-fortezza e passò i secoli seguenti contesa tra austriaci e francesi prima, tra austriaci e italiani poi. Finché, finalmente, nel 1866 Mantova entrò a far parte del Regno d’Italia.
Oggi l’atmosfera sonnacchiosa ed eterea di Mantova si respira nei cortili del palazzi, soprattutto in quelli di Palazzo Te, una garçonnière incantevole e ardita che non è stata intaccata dal recente sviluppo urbano. Attorno al palazzo sopravvive un grande spazio aperto, un vasto parco che potenzia ulteriormente allo sguardo lo splendore della residenza signorile.
Nelle sale del palazzo si è dominati dall’onnipotenza degli affreschi di Giulio Romano, ingenuo ed elegante nell’elogiare il sesso nella sala di Psiche, fiero e disincantato nel rappresentare il dio del Sole nudo, di sotto in su, che corre sul suo carro.
I Gonzaga non erano certo indiscreti sui loro intrighi amorosi, ma tra le mura sicure delle loro tante dimore vivevano in pienezza la loro sessualità. A tal proposito pare che la Villa La Favorita, vicino a Porto Mantovano, fosse la residenza dove Ferdinando Gonzaga, signore di Mantova, raggiungeva la sua amante, attraverso un cunicolo sotterraneo noto solo a lui.
Del resto, sembra che di tunnel ne esistano anche altri, sotto la città. Essi collegherebbero il Castello di San Giorgio con la riva opposta dei laghi e del Mincio, attraverso una galleria che partirebbe da dietro la Rotonda di San Lorenzo, un antico edificio religioso le cui origini sono legate non alla fede cattolica ma alla figura della dea Diana. Tuttavia, per sapere di più dei misteriosi cunicoli che correrebbero sotto Mantova, la zona in cui dovrebbero avvenire i necessari rilievi è vasta e coinvolge la parte storica e nevralgica della città. Chissà se un’esplorazione vera e propria chiarirà mai il mistero.
Ma forse è meglio così, la ricchezza della città è data anche dagli enigmi che la circondano.
Non bisogna dimenticare che Mantova non ha messo del tutto d’accordo nemmeno i due grandi letterati che hanno cercato di raccontarne le origini, Virgilio e Dante Alighieri: il primo individua in Manto la madre di un re tosco; il secondo, nel canto XX della Divina Commedia, sostiene che la città fu fondata da un’indovina greca, Manto, fuggita da Tebe e giunta nel cuore della pianura padana risalendo il Po e il Mincio controcorrente per sfuggire al prepotente Creonte. E i due, passeggiando insieme per l’intero Inferno, devono averne avuto di tempo per discutere…
Verità o leggenda? Ho cercato di portarvi in giro per Mantova, per luoghi reali, ma ogni tanto la fantasia e la magia in questa città prendono il sopravvento e fanno nascere leggende…
Questo articolo torna online sul mio blog dopo essere apparso, molti anni fa, su Vibrisse Bollettino nella rubrica “Giro d’Italia” a cura di Bartolomeo Di Monaco.
Una così breve carrellata non sarebbe però sufficiente per raccontare la città o la sua storia, né tantomeno le leggende di Mantova. Per conoscerle ci si può perdere tra le pagine del mio saggio “Mincio Magico”, nel quale un buon numero dei capitoli è dedicato proprio a Mantova e alle storie misteriose che l’avvolgono, nonché a tutte le incursioni che i mondi fantastici e magici hanno avuto nella storia dei Gonzaga.
Per avere informazioni su Mincio Magico e acquistarlo, potete ordinarlo in libreria o, ancora meglio, contattarmi per riceverlo con dedica e autografo.