Potente, selvaggio, primitivo, energico e sessualmente esplosivo: il dio Pan rappresenta la natura, la pastorizia, la vita di campagna e tutto il fascino evocativo e lussureggiante che avvolge questi ambienti.
Una figura così legata al mondo della natura e dei suoi frutti, a ciò che di rigoglioso ed esuberante essa può offrire, non poteva non trovare casa anche fra le terre che circondano il lago di Garda, in un ambiente che attraversa le forme delle colline sacre fin dall’antichità e giunge anche nelle propaggini di pianura di quelle numerose selve (in primis la Selva Lugana) che un tempo avvolgevano questi territori.
Chi era il dio Pan? Dall’aspetto fisico al mistero delle sue origini
Il culto di Pan significa mistero, luoghi all’aperto e spazi aperti, sessualità e paura: non a caso il termine “panico” che usiamo oggi descriveva perfettamente le sensazioni che provava chi aveva a che fare con questa divinità e con le sue emanazioni.
Chi era il dio Pan?
Il suo profilo non è facile da associare a un compito specifico, come avviene con altri dèi che ricoprono una particolare funzione o assolvono a qualche protezione particolare.
Di Pan si racconta, secondo le varie fonti, che non fosse una delle divinità dell’Olimpo, bensì una di quelle numerose figure, discendenti dai vari personaggi divini, che si erano sparse sulla terra.
Egli amava trastullarsi con le ninfe che incontrava sul suo cammino ed era un cacciatore provetto.
Aveva un aspetto selvaggio: le zampe caprine, il busto invece umano e il volto spesso coperto da una barba. Spesso era raffigurato con piccole corna. Era un eccellente saltatore, spesso associato a Dioniso per le feste e le orge che conduceva e che nell’immaginario trovavano ideale ambientazione nelle selve e nelle radure (d’altronde erano anche i luoghi dove le streghe, in epoche più recenti, tenevano i loro sabba).
Pan secondo la tradizione era figlio di Ermes, messaggero degli dèi, e nella mitologia romana è associato a Fauno, dio dei boschi.
La madre potrebbe essere stata la ninfa Driope o anche, secondo Erodoto, Penelope (conosciuta come la moglie di Ulisse che lo attese a Itaca). Altre fonti lo indicano come figlio di Zeus e della ninfa Callisto.
La seguente leggenda racconta che la nascita di uno dei suoi attributi, il Flauto di Pan o Siringa (strumento composto da canne di diversa lunghezza), sia legata al mondo dei canneti (post originale su Instagram qui).
Pan nella regione attorno al lago di Garda
Il dio Pan ha lasciato impronte affascinanti nella regione del lago di Garda che, essendo ricca di boschetti e selve, si prestava particolarmente a donare le emozioni e le suggestioni della vita all’aria aperta associate a questa divinità.
Non va dimenticato per esempio che nel veronese, alle spalle del Monte Baldo, esiste una valle dalle origini millenarie dall’evocativo nome di Valpantena (una valle di Pan?), dove esistevano luoghi di culto intitolati proprio al dio Pan.
Del dio Pan si hanno più testimonianze invece in area bresciana.
Nell’opera di Ottavio Rossi sulle epigrafi rinvenute nel territorio provinciale, l’autore parla di una statua che, nel suo tempo, ovvero nell’epoca rinascimentale, si trovava a Brescia e rappresentava il dio Pan. Secondo Rossi, le corna di Pan davano forma alla luna “matrice e diadema della vita” ed egli aveva una pelle di “lionpardo” e “una ghirlanda d’ebuli, pianta che ha la radice quasi immortale”. Portava una siringa al fianco e suonava un corno. L’epigrafe (proveniente da Sale Marasino) che Rossi associa alla statua è però dedicata a CAVTO PATI (e non Pani come dovrebbe essere).
Una dedica a Pan, da parte di “Caio Quinvio Mvciano, et Errodia Sinnesia sva carissima moglie” sarebbe stata presente su un’epigrafe vicino alle case della Canonica del Duomo di Brescia.
Sul fronte storico più recente, secondo Brogiolo una maschera associata a Pan è raffigurata in un ottagono del mosaico della villa di San Rocchino a Brescia, oggi custodito presso il Museo di Santa Giulia.
Inoltre nel Monte Vecchio di Pietà nel 1933 venne recuperato un frammento di lastra di monumento funerario dove campeggiano un bicranio, un nastro e una siringa, che suggeriscono una dedica al dio Pan.
Oggi una statua dedicata in tempi recenti al dio Pan è presente presso il Giardino Heller a Gardone Riviera.
Un ulteriore tassello della presenza di questa divinità nella regione gardesana si trova nei pressi del corso del fiume Mincio, come raccontato in “Mincio Magico” a proposito di una rappresentazione del dio Pan nel territorio goitese.
Più in basso, in pianura, a Mantova il dio Pan compare in primo piano negli affreschi della Sala dello Zodiaco di Palazzo d’Arco mentre, con sulle spalle un agnello, suona la sua siringa.
E nella Sala di Amore e Psiche, a Palazzo Te, è proprio Pan a offrire un pane a una bellissima dea nuda.
A Montichiari: la leggenda da Pan a San Pancrazio
A Montichiari, fra le colline moreniche che cingono a sud del lago di Garda, una leggenda legata all’odierno colle di San Pancrazio racconta dell’arrivo della potente Matilde di Canossa, in visita alla città.
In questi luoghi dall’epoca precristiana esisteva un tempio dedicato al dio Pan, al quale era domandata la protezione necessaria per i raccolti e per gli animali che venivano allevati in zona.
Matilde di Canossa, ritenendo non più opportuno questo culto, secondo la leggenda favorì la conversione delle popolazioni locali al Cristianesimo e decise di associare questi luoghi e la Pieve ancora esistente a San Pancrazio, forse per l’affinità del nome con quello del culto che esisteva in precedenza verso il dio Pan.
È curioso che secondo la tradizione popolare la Pieve di San Pancrazio sorga invece su un antico tempio dedicato a una divinità femminile, come spiega il saggio Misteri Morenici.
Verità o leggenda?
Le suggestioni e leggende del dio Pan nella zona del lago di Garda sono numerose e nei prossimi anni questa carrellata potrebbe essere ampliata.
Di certo, come accennato, gli ambienti boschivi e i grandi spazi aperti della pianura a sud del lago hanno favorito la celebrazione di una divinità tanto spaventosa quanto vicina all’esperienza quotidiana di chi traeva dai boschi e dalla terra il proprio sostentamento.
Simona Cremonini