A pochi chilometri dal lago di Garda, e in particolare da Riva, le montagne del Trentino sud occidentale stringono in un fresco abbraccio il lago di Ledro, suggestivo bacino alpino che condivide con il lago di Garda l’origine glaciale e un patrimonio di leggende e curiosità che spesso si riflettono da un lago all’altro.
E un percorso fra le leggende della Valle di Ledro non può che partire dai due elementi di parentela più evidenti con il lago di Garda: da una parte la presenza delle palafitte (come testimonia anche il Museo delle Palafitte del Lago di Ledro che si trova a Molina di Ledro e il cui sito web è visitabile qui); dall’altra, il ritrovamento, in questa zona, di una buona parte delle tavolette enigmatiche rinvenute nell’area gardesana (i siti di Bande di Cavriana, Molina di Ledro e Lucone di Polpenazze sommati tra loro ospitavano più della metà delle tavolette enigmatiche totali trovate nel territorio attorno al lago di Garda, come spiegato in “Misteri Morenici”).
Mentre sul significato e antico uso delle tavolette enigmatiche fioriscono leggende e ipotesi più diverse, che forse un giorno l’archeologia riuscirà a sciogliere, sul sito palafitticolo c’è una curiosità che non tutti conoscono e che lo lega a un celebre personaggio gardesano d’adozione: tra coloro che hanno il merito della scoperta della presenza delle palafitte nel lago di Ledro vi è infatti, nel suo piccolo, anche Gabriele d’Annunzio.
Il Vate nel 1928 partecipò personalmente, con il suo idrovolante, all’evento con cui furono fatte esplodere le mine per aprire il collegamento con la centrale idroelettrica di Riva. Fu proprio d’Annunzio, che in quegli anni stava realizzando il Vittoriale a Gardone Riviera, a schiacciare il tasto che innestò l’esplosione. Allora si verificò un iniziale abbassamento del livello del lago di Ledro che, l’anno seguente, portò alla scoperta delle palafitte. Questa è storia, ma anche una singolarità che collega i due laghi.
A partire dalla sua bellezza e dalla storia passata anche per di qua, fra le sue valli, i luoghi del lago di Ledro hanno saputo disegnare storie fantastiche e narrare del passaggio di personaggi che appartengono al mondo del sovrannaturale, del magico e, ovviamente, della leggenda.
Il gigante di Bezzecca: “el Popo” Bernardo Gilli
Nel primo di questi personaggi ci si imbatte a Bezzecca, paesino del lago di Ledro noto anche per essere il luogo da cui Giuseppe Garibaldi inviò il celeberrimo telegramma “Obbedisco” il 9 agosto 1866.
Da queste parti, nello specifico, circa un secolo prima del passaggio dell’Eroe dei Due Mondi, viveva una dinastia di giganti tra cui spiccava “el Popo”, Bernardo Gilli: due metri e sessanta di statura, forse l’uomo più alto del mondo, costui aveva colpito l’immaginario collettivo anche grazie alla forte popolarità che avevano in quel tempo i freaks, le creature straordinarie che spesso legavano ai circhi le loro fortune e sfortune.
In paese “el Popo”, nato nel 1726 proprio a Bezzecca, stupisce i suoi concittadini caricandosi sulle spalle interi carri di fieno: poi a vent’anni viene notato dall’equilibrista Giambattista Perghem, tornato al suo paesello natio Nomi, e viene portato in tournée davanti a papi e regnanti.
Bernardo Gilli continua poi a viaggiare e a stupire tutte le corti d’Europa: un signore di Venezia arriva addirittura a pagare per vederlo esibirsi nudo per capire se si tratti di un falso. Una testimonianza dell’epoca afferma che dal volto di “el Popo”, comunque, “non spicca ferocia, sibbene una tal quale bonarietà da montanaro”.
E così in effetti era. Lui stesso, nel proprio testamento, inviterà i nipoti a lasciare il suo scheletro alla scienza perché possa essere studiato: il tutto però andrà perduto per un bombardamento al museo di Rovereto durante la prima guerra mondiale.
Oggi una mostra permanente è dedicata a Bernardo Gilli nell’atrio del Municipio di Bezzecca.
La leggenda del torrente Niagara
Totalmente diversa è l’atmosfera della storia che arriva da uno dei torrenti della Val di Ledro.
(NDR: Questa leggenda non ha una chiara collocazione, nessuno di coloro con cui ho parlato dopo averla raccolta è riuscito a identificare il luogo e il torrente preciso a cui si riferisce; ma chi me l’ha raccontata era estremamente convinta che fosse vera e in quel momento credevo che l’indicazione del nome del torrente fosse reale: perciò la riporto per aver modo di approfondire la questione con chi la conoscesse o sapesse dirmi di più).
Il nome (o soprannome) di tale rivolo d’acqua sarebbe Niagara, ma una triste e romantica leggenda racconta che in origine tale nome appartenesse a una fanciulla del luogo, che il padre voleva obbligare a sposare un vecchio. La ragazza, però, era innamorata di un suo coetaneo: e così, pur di non diventare la moglie dell’anziano, si gettò in un fiumicello.
Da allora il torrente fu chiamato o soprannominato Niagara, in ricordo della giovane che morì pur di non sposare un uomo che l’avrebbe, certamente, resa infelice.
La fatata custode del tesoro di Rocca Pagana
Stavolta di collocazione sicura, un’altra leggenda ci trasporta sulla rupe che sorge nella parte sud-occidentale del territorio della Riserva di Biosfera Alpi Ledrensi e Judicaria.
Già nel proprio nome l’altura di roccia calcarea indicata come Rocca Pagana richiama storie di credenze di un passato precristiano e, in particolare, questo luogo sarebbe stato l’ultimo rifugio dei pagani in fuga dall’evangelizzazione cristiana. Qui essi avrebbero nascosto il loro tesoro, un vitello d’oro che rappresentava il loro patrimonio più sacro.
Tale leggenda ha profondamente attecchito nell’immaginario locale e nel tempo, ogni tanto, qualcuno ha tentato l’impresa di ritrovarlo o di rinvenire i tesori qui celati, in altre versioni della storia, da un piccolo gruppo di soldati romani che, sopravvissuti a un’orda di barbari, si sarebbero rifugiati proprio su questa montagna.
Le indagini sul tesoro durarono per molto tempo, poi poiché nessuno trovava mai nulla a un certo punto si arenarono. L’unico a insistere a crederci fu un medico che, di notte, continuava a inerpicarsi per la Rocca e a infilarsi nei suoi precipizi. Una volta, magicamente, egli trovò davvero qualcosa, o meglio qualcuno: una splendida donna che lo condusse in una caverna in cui erano custoditi tutti i tesori di cui si favoleggiava. Tuttavia lei in cambio gli portò via il cuore: e così i due amanti, il dottore e la fanciulla fantasma, si ritrovavano ogni notte.
Tutto ciò proseguì finché i suoi compaesani, accortisi delle sue spedizioni, una notte lo seguirono e lo sorpresero addormentato vicino alla sua fata, intuendo che in quei pressi dovesse nascondersi il tesoro. Tuttavia essi non riuscirono a rinvenire i preziosi e, arrabbiati, per far capire che il segreto dell’esistenza della protettrice del tesoro era stato rivelato, segnarono la lunga treccia della donna che, quando si destò, pensò di essere stata tradita e uccise il suo amante all’istante, credendolo colpevole.
Da quel momento della fanciulla non restò alcuna traccia, così come dei tesori che si dice portò via con sé.
La porta per il mondo delle fate al Gorg d’Abiss
Sempre al mondo fatato si lega il fascino di un luogo come Gorg d’Abiss, il “gorgo dell’abisso”, una cascata naturale situata sopra Tiarno di Sotto.
Una leggenda su questo luogo incantato racconta che i raggi del sole che filtrano attraverso le piante colpendo l’acqua riescano a spalancare un portale sul mondo delle fate.
La fonte non ha perso il suo carattere magico, che la circonda fin dall’antichità, anche perché qui è stata collocata la statua di una Madonna delle sorgenti che riceve ancora oggi profonde devozioni e mantiene viva la sacralità femminile del posto.
La meravigliosa fata Gavardina
A proteggere la Valle di Ledro sarebbe, secondo un’altra leggenda, proprio una fata che porta il nome di Gavardina.
Costei viveva nelle ampie caverne in fondo alla Val Concei, dove sgorgano le sorgenti della Val de Fi, e tutti sapevano chi fosse per via del suo canto melodioso che si poteva ascoltare quando ci si chinava a bere nelle fresche fonti di montagne.
Invisibile, Gavardina amava vagare per la valle a osservare la gente lavorare e ad ascoltarne i pensieri.
Un giorno però si rese conto che tutti erano tristi e presto la fata scoprì il motivo: la valle era stata invasa da degli insetti terribili che stavano distruggendo gli alberi e le piante faticosamente curate dagli abitanti della valle, mangiandone tutte le foglie.
Gavardina non poteva fare nulla, ma decise di rivolgersi al suo amico mago che viveva in Val Rendena. Costui accettò di darle il suo aiuto e mandò i suoi folletti in Valle di Ledro, così che gli insetti furono sconfitti.
Tuttavia ben presto Gavardina si rese conto che i ledrensi, nel frattempo, avevano perso l’attenzione e l’amore per la loro terra e che non si erano nemmeno accorti della sparizione degli insetti. I campi erano ormai infestati da sterpaglie e totalmente incolti. Perciò Gavardina, delusa dal comportamento degli umani, si rifugiò nelle sue caverne nella Val de Fi e nessuno ha più udito il suo canto.
Quando gli uomini mostreranno di amare di nuovo le montagne, forse tornerà a mostrarsi.
Oggi una statua che rappresenta la meravigliosa fata Gavardina si può incontrare sul sentiero della Val Concei.
Queste e chissà quante altre sono le leggende che circondano la Valle di Ledro e il lago di Ledro.
Se per esempio volete conoscere anche la ninfa legata nello specifico al lago di Ledro, dal quale ha preso anche il nome, l’acquisto più consigliato è quello di “Fantastico Garda”, il bestiario della regione che circonda il lago di Garda: un’ottima occasione per avere il libro (con dedica e autografo) potrebbe essere la presenza di tutti i libri insieme alla sottoscritta a Ledro Comics.
La manifestazione del lago di Ledro dedicata alla fantasia, al fumetto e al fantastico si terrà a Pieve di Ledro sabato 7 e domenica 8 settembre 2019: per tutti i dettagli si può consultare la pagina Facebook.
Chi invece avesse informazioni ulteriori su queste o altre leggende del lago di Ledro e di tutta la zona della Val di Ledro può scrivermi a [email protected]!