Dalla romana Sirmione a una fama sterminata che lo ha portato a essere ammirato, citato e omaggiato dai letterati più importanti in tutta Europa, fino ai giorni nostri: Catullo e le sue opere hanno saputo, nel tempo, attraversare i confini tra le epoche e le nazioni, facendo scoprire i versi delle nugae (le sue “poesiole”, come lui stesso le definiva), ma non solo, in ogni angolo del continente.
E il poeta Catullo ha un legame fortissimo anche con il lago di Garda, specialmente con Sirmione, dove oltre due millenni fa, dove oggi sorgono appunto le cosiddette “Grotte di Catullo”, secondo la tradizione nel I° secolo a.C. sorgeva la villa del padre di Gaio Valerio Catullo.
Veronese come era un tempo la terra sirmionese, che fu anche signoria scaligera con la sua Rocca che ancora si erge fiera sulle acque del lago, Catullo nacque secondo la “Chronica” di San Girolamo nell’anno 87 a.C. e quindi sarebbe morto nel 57 a.C. dato che sarebbe vissuto trent’anni. Ma alcuni suoi Carmi fanno riferimento a fatti avvenuti più tardi, come la spedizione in Britannia del 55 a.C., quindi la sua data di nascita viene collocata nel 84 a.C. (e quella di morte nel 54 a.C.). La famiglia era agiata e importante, tanto che il padre avrebbe ospitato personalità importanti tra cui anche Giulio Cesare: lo conferma la proprietà delle due ville del Poeta, a Sirmione e a Tivoli. Roma fu per lui un polo d’attrazione irresistibile, dove poté frequentare gli ambienti patrizi.
Nella capitale dell’Impero, Catullo conobbe la donna che segnò la sua vita, che nelle sue opere ribattezzò Lesbia in omaggio alla poetessa Saffo nata a Lesbo. Di facili costumi, la nobile Lesbia divenne croce e delizia per Catullo, che a grandi canti d’amore sostituì composizioni feroci contro il comportamento della donna amata.
L’opera più famosa resta il Carme 5:
Vivamus mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis!
soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.
Viviamo, mia Lesbia, e amiamo,
e i rimproveri dei vecchi severi
non stimiamoli tutti neanche un soldo.
Il sole può tramontare e ritornare:
quando cade per sempre la breve luce della vita, noi
dobbiamo dormire una sola interminabile notte.
Dammi mille baci, poi altri cento,
poi altri mille, poi per la seconda volta cento,
poi altri mille ancora, poi cento.
Dopo, quando ne avremo dato migliaia,
confonderemo il conto, per non sapere,
o perché nessun maligno possa invidiarci,
sapendo che esiste un dono così grande di baci.
O ancora il Carme 86, dove paragona Lesbia a una ragazza di Sirmione, Quinzia, la progenitrice della famiglia Quinti:
Quintia formosa est multis mihi candida longa
recta est: haec ego sic singula confiteor.
totum illud formosa nego: nam nulla uenustas,
nulla in tam magno est corpore mica salis.
Lesbia formosa est, quae cum pulcerrima tota est,
tum omnibus una omnis surripuit ueneres.
Molti ritengono che Quinzia sia bella. Per me ha la pelle luminosa è alta,
slanciata: io ritengo che abbia queste uniche qualità.
Ma nego che sia tutta bella: infatti non c’è nessuna grazia,
neanche un briciolo di spirito in un così gran bel corpo.
E’ attraente Lesbia che è splendida dentro e fuori,
e da sola toglie a tutte le Grazie.
Anche se della biografia del poeta latino si sa poco, lui stesso nella sua opera fa inoltre trapelare di un viaggio in Bitinia (Asia Minore), dove visitò la tomba del fratello morto mentre era al seguito del propretore Caio Memmio, per poi tornare a Sirmione, dove risiedette per un po’.
Del rapporto di Catullo con la città e con il lago di Garda sono infusi i carmi che a Sirmione fanno diretto riferimento, come il carme 31, il più famoso:
Paene insularum, Sirmio, insularumque
Ocelle, quascumque in liquentibus stagnis
Marique uasto fert uterque Neptunus,
Quam te libenter quamque laetus inuiso,
Vix mi ipse credens Thyniam atque Bithynos
Liquisse campos et uidere te in tuto!
O quid solutis est beatius curis,
Cum mens onus reponit, ac peregrino
Labore fessi uenimus larem ad nostrum
Desideratoque acquiscimus lecto?
Hoc est quod unum est pro laboribus tantis.
Salue, o uenusta Sirmio, atque ero gaude;
Gaudete, uosque, o Lydiae lacus undae;
Ridete, quidquid est domi cachinnorum.
Sirmione, perla delle penisole e delle isole,
di tutte quante, sulla distesa di un lago trasparente o del mare
senza confini, offre il Nettuno delle acque dolci e delle salate,
con quale piacere, con quale gioia torno a rivederti;
a stento mi persuado d’avere lasciato la Tinia e le contrade di Bitinia,
e di poterti guardare in tutta pace.
Ma c’è cosa più felice dell’essersi liberato dagli affanni,
quando la mente depone il fardello e stanchi
di un viaggio in straniere regioni siamo tornati al nostro focolare
e ci stendiamo nel letto desiderato?
Questa, in cambio di tante fatiche, è l’unica soddisfazione.
Salve, amabile Sirmione, festeggia il padrone,
e voi, onde del lago di Lidia, festeggiatelo:
voglio da voi uno scroscio di risate, di tutte le risate che avete.
Tuttavia il tema del lago non manca anche in qualche cenno sparpagliato, come quello fatto nel Carme 4 nel parlare del piccolo battello (la piccola barca) che Catullo usa per navigare: dettaglio, questo, molto importante nel romanzo “La leggenda degli amanti del lago”:
cum veniret a mari
novissimo hunc ad usque limpidum lacum.
quando giunse da quel mare
lontano fino a questo limpido lago.
Degli anni intorno alla morte su Catullo non si sa molto. Forse il mal sottile lo colse. Presumibilmente il poeta dovrebbe essere morto a Roma e, per quanto accennato inizialmente, nell’anno 54 a.C.
Le leggende locali che legano Catullo a Sirmione e al lago possono essere lette sul libro “Leggende, curiosità e misteri del lago di Garda”.